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La tavola, per noi italiani, gode di una considerazione di tutto rispetto: è il luogo in cui mostrare ospitalità, o riceverla, il posto dove socializzare, conoscersi, in cui la famiglia, nucleare, allargata, monoparentale o altro si riunisce. L’educazione alimentare e il bon ton durante il pasto costituiscono due capisaldi dell’interazione genitori/figli: quando, quanto e cosa mangiare da un lato, e come farlo dall’altro: aspettare cortesemente che tutti siano a tavola, non ingozzarsi, evitare di appoggiare i gomiti sul tavolo, desistere dal lasciare libera espressione a certi….brontolii viscerali!
Ma il nostro rapporto con la tavola costituisce soltanto una curiosità culturale (come ha detto Montanelli “E’ un’ossessione questa degli Italiani di concludere tutto a tavola”), o è qualcosa di più? Si tratta di una nostra “tara” (in senso affettuoso) ancestrale o ha anche una sua funzione psicologica?

Una ricerca
Nello studio di Compañ e altri (2002) sono stati comparati due gruppi di adolescenti, suddivisi in base a diversi indicatori di benessere e salute mentale. Lo scopo dello studio era quello di valutare l’importanza della presenza (o della completa assenza) dei rituali familiari sullo svilupparsi di problematiche psicologiche in adolescenza. Si trattava di un “tiro lungo”, nel senso che i problemi psicologici raramente sono stati correlati a qualcosa di così oggettivo e numeralizzabile come il numero di pranzi passati insieme. Ciònonostante, la ricerca ha prodotto un risultato interessante: gli adolescenti con problemi psicologici, più spesso vivevano in famiglie in cui erano assenti rituali quotidiani (come il mangiare insieme) o annuali (come le festività passate in famiglia).

L’importanza dei rituali familiari
Seguendo Bonino (1987) nel suo interessante studio sui tipi di rituali, dal mondo animale a quello umano, i pasti e le festività apparterrebbero ai rituali di legame. Essi infatti integrerebbero in sequenze complesse dei riti che i bambini manifestano già in precoce età, come il dono (lo scambio reciproco di oggetti e di cibo). I riti di legame gruppale, come il pasto in famiglia o le festività con la famiglia allargata, hanno anche la funzione di rafforzare le relazioni, reificando l’appartenenza degli individui al gruppo (non a caso, spesso sono i primi a mancare in caso di separazione o divorzio). Secondo Malaquias (2015) i rituali familiari accrescono il senso di connessione sociale, cioè la sensazione di essere collegati socialmente alle persone attorno a noi. In che modo? Gli adolescenti che hanno un maggior numero di rituali familiari sentono sicurezza e connessione nei confronti della loro famiglia; questo rende loro più semplice stabilire dei legami sociali al di fuori.
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Andiamoci piano…
Si tratta certamente di una prospettiva interessante, perchè riguarda il modo in cui il mondo interno delle persone interagisce con quello esterno dei gruppi e della società. Tuttavia, ci teniamo a manifestare cautela: capita spesso che una singola variabile venga presa come l’unica determinante di un fenomeno (per esempio, un disagio psicologico in adolescenza). Vorrei specificare che non è questo il caso: oggetti di studio complessi meritano descrizioni complesse. Non dobbiamo infatti dimenticare che i rituali, se da un lato costituiscono un importante fattore protettivo, dall’altro, irrigiditi, entrano a far parte della patologia conclamata, come è il Disturbo Ossessivo-Compulsivo.
In conclusione?
Abbiamo visto come lo stare insieme a tavola costituisca uno dei modi in cui ogni membro della famiglia può riconoscersi parte di un gruppo: e di come tale appartenenza possa fungere da protettivo rispetto ad insicurezze, angosce e paure. Data la nostra “ossessione di risolvere tutto a tavola”, quindi, questo dovrebbe renderci ottimisti!
Ma abbiamo anche detto che questa è solo una delle molteplici influenze che agiscono sulla persona: ve ne sono molte altre, dato che, citando Fernando Pessoa,
Ognuno di noi è l’eccezione ad una regola che non esiste.
Dott. Giacomo Crivellaro
Psicologo Psicoterapeuta a Firenze e Parma